domenica 15 giugno 2008

La leggenda del regno dimenticato 1, di Alex Mele

Un po' di rispetto, dannazione! Ci vuole rispetto e sopratutto tanta umiltà quando si vuole convincere qualcuno a spendere 16,54 euro per comprare il libro di uno sconosciuto. Questo Alex Mele di rispetto non ne ha di certo. Innanzitutto perché, a prescindere dagli errori, prima di pubblicare qualcosa un autore dovrebbe rivedere l'impaginazione del documento.

Alex, prima di scrivere qualcos'altro (spero di no) ti consiglio un buon corso di videoscrittura con Word. Non so in quale regioni abiti, ma sono certo che ci siano corsi adatti a te, e nel caso fosse complicato frequentarne uno, online trovi tutorial gratuiti.
Impara quindi a togliere gli elenchi automatici quando metti il trattino, tanto per iniziare.
Veniami all'incipit... un incipit che inizia con tre puntini di sospensione non l'avevo mai visto... sospensione da cosa? Dal titolo del libro?

... nonno Sam, raccontami un'altra storia, esordi il piccolo James,
raccontami ancora la storia del grande regno!


Diciamocelo, se questo Alex Mele ha otto anni per me è un genio. Ma se ha soltanto un mese di più dovrebbe fare una bella autocritica. Non soltanto perché non sa scrivere con word, ma perché gli mancano le basi della grammatica.
In quell'incipit mi dite dove inizia il discorso diretto e dove termina? Perché, Alex, non hai usato i trattini? Il tuo comune ha messo un'imposta sull'uso dei trattini nei documenti Word?

- Nonno Sam, raccontami un'altra storia - esordì il piccolo James - raccontami ancora la storia del grande regno!

Andava scritta così, non ci voleva molto. Un editor che legge il tuo incipit cestina subito il manoscritto. Nostro malgrado il racconto continua:

- ... ma James, disse il nonno, te l'ho raccontata decine di volte, non sei stufo di sentirla
raccontare


Stesso problema. Stavolta il dialogo inizia con un trattino, ma quando termina non c'è il trattino che lo chiude (dopo James). Inoltre i puntini di sospensione non vanno messi all'inizio di un dialogo. Non servono a nulla. Quando li vedo e non soltanto all'interno dei dialoghi (anche su libri normalmente pubblicati), mi viene l'orticaria. Credo che manchi anche un punto interrogativo al termine della frase.
La monnezza di Alex Mele continua così:

- Il piccolo, con tono deciso e sicuro rispose con un secchissimo "no", voglio sentirla ancora e
ancora, non mi stuferò di ascoltarla, alchè


Ok basta. Dopo aver letto "alchè" ho capito che non valeva la pena continuare. Stavolta una frase viene scritta come discorso diretto quando non lo è. Il superlativo "secchissimo" fa schifissimo. Dopo la "e" va a capo senza motivo. Hai letto almeno una volta ciò che hai scritto, Alex?
"Alché" poi, è la ciligina sulla torta. E la torta non è di panna.
Ripeto: un editor avrebbe cestinato il manoscritto dopo la prima frase. Il reiterarsi di errori di grammatica e di impaginazione, mi fanno supporre che questo Alex Mele non ha mai letto quello che scrive.
Caro Alex, spero che tu abbia degli amici con cui giocare a calcio o coi Power Rangers (dato che sono sicuro che non hai più di otto anni). In caso contrario lascia stare la scrittura.

Continua...

sabato 14 giugno 2008

Il Teschio del Destino di Enza Varvara

La seconda punizione a tastiera nuda con la mia firma tocca a Enza Varvara. Il suo Teschio del Destino è nella sezione "I più amati" di Lulu. Mi viene da pensare che l'amore non è solo cieco, ma è anche scemo.

L'aria acre e fuligginosa rendeva difficile distinguere le immagini che celermente si muovevano ad una distanza di cinquanta metri.
Si era nascosto dietro a uno dei pilastri di cemento che dividevano l'enorme magazzino, colmo di inceneritori di diverse dimensioni.
Fortunatamente, in quel momento non sembravano funzionanti. A giudicare dall'aspetto, dallo stato di conservazione e soprattutto dagli odori piuttosto nauseanti, doveva essere uno di quei posti dove venivano ammassati i riufiuti per essere distrutti.
Non aveva mai visto in vita sua un posto del genere. Ma non serviva essere un detective per rendersene conto. In quel momento la sua domanda più impellente era un'altra. Come mai si trovava lì? E soprattutto, come ci era arrivato?
Non lo sapeva. O meglio, non se lo ricordava. Negli ultimi due giorni gli stavano capitando cose troppo strane. E la cosa buffa, se così si poteva definire, era proprio quella di avere dei vuoti di memoria giganteschi.
Ma adesso aveva un problema più grosso da risolvere.
I due coinquilini, con cui divideva quel momento poco felice, non erano proprio i tipi a cui ci si poteva rivolgere per chiedere aiuto o magari ridere dell'accaduto e andarsi a prendere un drink al bar più vicino.


...Dio andrei avanti all'infinito!



Allora, non so se l'ho già detto però la prima frase del vostro romanzo è fondamentale. E' tutto, dice tutto sul vostro stile e sulla vostra cultura letteraria. Può sembrare spietato, ma è così.
La prima frase di questo incipit è la più terribile che io abbia mai letto. Non scherzo.

L'aria acre e fuligginosa rendeva difficile distinguere le immagini che celermente si muovevano ad una distanza di cinquanta metri.

Intanto fughiamo i primi eclatanti strafalcioni: una "d" eufonica e un avverbio, celermente, del quale, a meno che non lavoriate alle poste, non dovreste mai fare uso in narrativa.

Togliamoci un'altra pietra aguzza dalle scarpe e diciamo che un odore è acre, non l'aria. E non possiamo dire che l'autrice intendesse aria come odore perchè poi specifica che è fuligginosa, considerazioni di tipo visivo e non olfattivo.

Poi andiamo al concetto che introduciamo in questa frase: un luogo offuscato da un'aria pesante e delle immagini veloci che scorrono a breve distanza inidistinguibili. Sei nella sala fumatori di un cinema?
Ma soprattutto, come cavolo fai a calcolare la distanza di queste immagini se è tutto offuscato e poco distinguibile? E siamo solo alla prima frase.

Si era nascosto dietro a uno dei pilastri di cemento che dividevano l'enorme magazzino, colmo di inceneritori di diverse dimensioni.

CHI SI ERA NASCOSTO? Enza, non venirmi a dire che è un escamotage per tenerci con fiato sospeso perchè l'unica cosa che sto trattenendo è un conato di vomito. Se non cambi soggetto, si resta legati a quello della frase precedente, per cui io penso che le immagini o l'aria fuligginosa si sia nascosta.

Fortunatamente, in quel momento non sembravano funzionanti.

Perchè? Che ti frega e, soprattutto, che mi frega a me di sapere se sono accesi o spenti? Il nostro protagonista (ma c'è poi?) ci potrebbe finire dentro come la strega di Hansel E Gretel? E poi Enza sarà a conoscenza del fatto che un inceneritore non viene mai spento? Infatti lo spegnimento di un forno e la riaccensione alternata libera nell'aria quantità pazzesche di diossina, la stessa prodotta dalla "scandalosa" bruciatura dei rifiuti per le strade di Napoli. Ne deduco che questo magazzino sia in disuso. Ma a me non sembra. Andiamo avanti.

A giudicare dall'aspetto, dallo stato di conservazione e soprattutto dagli odori piuttosto nauseanti, doveva essere uno di quei posti dove venivano ammassati i riufiuti per essere distrutti.

Tralasciamo il fatto che non tutti questi posti hanno l'aspetto di una fogna di Calcutta (e anche la ripetizione di "essere", due volte nell'ultima frase), è un luogo comune, il posto si chiama "Impianto di smalitimento dei rifiuti". Sì, "c'è 'na parola sola pe dì tutto questo". O meglio, meno parole e più specifiche.

Non aveva mai visto in vita sua un posto del genere. Ma non serviva essere un detective per rendersene conto. In quel momento la sua domanda più impellente era un'altra. Come mai si trovava lì? E soprattutto, come ci era arrivato?

Ma chi??? Non mi hai detto ancora se chi pensa, e vede, tutto ciò sei tu, un uomo, un cane, un nano di Twin Peaks, l'omino Michelin, una badante polacca o una velina.
Poi, rendersi conto di cosa? Di non aver mai visto un posto del genere in vita sua? Ci vuole un detective, o sua madre? E poi, ma dove vive questo che non ha mai visto una discarica? Non in questa dimensione immagino perchè le foto e i video degli inceneritori sono ovunque, perfino nei documentari che guardo distrattamente quando corro sul tapis-roulant in palestra.
E poi, un'altra mostruosità riportata nella Stele di Robetta: l'uso spropositato del "suo/sua". Frutto degenere dell'albero dei testi inglesi mal tradotti.
Se non è SUA 'sta domanda... di chi è? Mia?
E mettiamoci anche i due punti invece che il punto della penultima frase.

Non lo sapeva. O meglio, non se lo ricordava. Negli ultimi due giorni gli stavano capitando cose troppo strane. E la cosa buffa, se così si poteva definire, era proprio quella di avere dei vuoti di memoria giganteschi.
Ma adesso aveva un problema più grosso da risolvere.


Non lo sapeva o non se lo ricordava? No perchè sono due cose diverse. Non le puoi nè intercambiare nè porre in relazione osmotica. Poi che sono queste "queste cose troppo strane"? Della serie "cioè nun poi capì, 'na cosa teribbile, cioè sto proprio fori"? (da leggere con spiccato accento romanesco). Diciamo subito che "cose" lo usavano gli scribacchini nella Stele di Robetta, e che uno scrittore bravo può fare di meglio. E "strane" è uno di quegli aggettivi che, sempre uno scrittore bravo, non dovrebbe mai usare, perchè non dice niente. Quello che è strano per me (trovare uno che conosce l'uso corretto del punto e virgola, per esempio) non è strano per te (evidentemente).
Poi, alzi la mano chi ritiene "buffo" avere dei vuoti giganteschi di memoria. Io mi dispero se vado in cucina e mi dimentico perchè ci sono andato! Figuriamoci se mi ritrovassi in una discarica senza sapere come ci sono finito. Beh... ognuno si diverte a modo suo.
E soprattutto, che cavolo potrà essere più grave di una situazione così ingarbugliata da risolvere? Andiamo a scoprirlo...

I due coinquilini, con cui divideva quel momento poco felice, non erano proprio i tipi a cui ci si poteva rivolgere per chiedere aiuto o magari ridere dell'accaduto e andarsi a prendere un drink al bar più vicino.

Evvai con l'ironia fuori luogo. Che c'entra andare al bar? Abbiamo capito che è una situazione paradossale, e allora (e 'sto bar deve essere proprio il più vicino?)?
Ma poi, da dove spuntano questi due adesso? C'erano già prima? E da cosa giudichi una persona inadatta a berci un drink se non ti ha nemmeno parlato? Forse non hanno la bocca...

Mi sono fermato per disperazione, ma la pagina scorre con illuminazioni del tipo "come lo spettatore di un film, aspettava che quell'assurda storia finisse il prima possibile". E mi viene da dire: di un brutto film immagino, perchè se io vado al cinema e il film mi piace, vorrei non finisse mai (al contrario di questa storia)!

Andando avanti fino alla fine dell'anteprima disponibile su Lulu, non si scopre chi è il protagonista, ma ci viene rivelato che i due "coinquilini" non sono accanto a lui, ma sono uomini di malaffare che compiono una trattativa sotto gli occhi "indiscereti" del nostro protagonista.

Non ci sono solo incongruenze e strafalcioni in questo incipit, c'è anche un errore strutturale, ovvero un salto di punto di vista immotivato che già partiva da una base traballante.
Quello che si può imparare da questi orrori di incipit è molto. In questo caso vi segnalo l'importanza di chiarire subito chi è il narratore o il protagonista dell'avventura. E dite subito anche se è maschio o femmina, perchè chi legge vuole saperlo. Scoprire che è una donna dopo aver letto 10 pagine in cui si sottointendeva che fosse un uomo, è shoccante per un lettore. Garantito. Gli americani autori di best-seller, come Crichton o King, li presentano in modo molto scolastico ma sempre efficace: John aveva 35 anni ed era biondo con gli occhi azzurri. Semplice, immediato e veloce.
Enza Varvara, n anni, scribacchina.

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Eccola

Citata nel mio primo post di commento, vi presento la "Stele di Robetta", la lapide che riporta l'idioma utilizzato da un popolo chiamato "Scribacchini" e che tutt'oggi è in uso presso alcune popolazioni di scrittori che hanno aderito alla Setta degli Scribacchini nutrendo il mito con offerte sacrificali a base di lingua italiana, grammatica e sintassi. La foto qui pubblicata mostra un frammento di questa famosa Stele che sembra in origine sia stata molto più grande e che contenesse tutte le formulazioni in voga all'epoca degli Scribacchini. Si ipotizza che autore della Stele sia un poeta incompreso dell'età somera, tale Strafalxione.

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